giovedì 16 febbraio 2012

Must

Ci sono cose che non cambiano mai.
La buonanotte della NonnaG che disegna con il pollice una croce sulla fronte e poi ci stampa un bacio in mezzo.
L'arrivo della primavera, dapprima stentato e poi esplosivo.
Il sapore del gelato di cioccolata fondente della gelateria dei G.
Il profumo del camino e quello delle castagne.
Il sapore del rientro a casa dopo un periodo di assenza.
Ogni estate al mare i saluti con gli amici lasciati un anno prima "come state?"
Il rumore dei tasti del bancomat e della pioggia che batte e del parquet che scricchiola e di un bambino che piange e di una sirena che passa e delle prime note della canzone preferita.
Ci sono cose che non cambiano mai.
Il festival di Sanremo è una di queste. Che alla fine almeno un po' te lo vedi sempre. Con i Matia Bazar, che nascono e muoiono ogni anno nella settimana del festival, come le statuine del presepe che metti via tutto insieme e lo riprendi l'anno dopo. Con la scalinata dietro, l'orchestra, il maestro Vince Tempera (che per M bambina era due verbi insieme Vince e Tempera) e Beppe Vessicchio a dirigere l'orchestra.
Con le chiacchiere del giorno dopo, le critiche su tutto tranne che sulle canzoni, che nessuno le ascolta, la farfalla di Belen come la spallina di Patty Kensit, i vestiti delle vallette e un aggetivo che si tira fuori e si mette via insieme ai Matia Bazar: "nazionalpopolare".

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