martedì 28 maggio 2019

La memoria dei pesci

Capita delle volte di notte di sognare un posto della nostra vita in cui non si va da anni. Un posto dove si è passato tanto tempo. Capita di trovarlo intatto, come la memoria lo ricorda, e capita di percorrerlo con fortissima emozione, una sensazione di familiarità e novità insieme. 
Magari si scorgono delle porte nel sogno, porte a cui non si era mai più pensato, ma che sì certo che c'era quella porta.. e magari dietro quelle porte si trovano stanze non dimenticate, ma sopite, che riaffiorano potenti, come se da quelle stanze non ci fossimo mai allontanati.
A M è successo di sognare tante volte la casa dei nonni, l'ingresso con le marmette a terra, il corridoio largo, il bagno grande e quello piccolo, la "stanza dello sbarazzo" e in fondo il ripostiglio, dove si trovavano sempre le confezioni di cracker di nonno, che non erano quelle di oggi; i cracker erano quadrati, come se nascessero già spezzati a metà, tutti in fila indiana come pezzi del domino. 
Il soggiorno curvo,il terrazzino, l'enorme porta a soffietto che si chiudeva male, morbida, che separava il soggiorno dalla sala da pranzo con la tv.
Una casa grandissima che fu abitata da due adulti e sei bambini di età molto vicine tra loro e che M ha conosciuto abitata dai nonni, la zia Giò, il Pediatra e il Cugino Serio e che ha frequentato fino al 2000, quando è stata venduta perché non era più "la casa dei nonni".

Stamattina M dopo sei anni è tornata nella sua vecchia piscina, perché quella nuova in questa settimana non è agibile. La piscina in cui ha imparato a nuotare (1978) con l'istruttore che la allena tuttora.
La piscina dove ha nuotato tutta la vita: quando andava a scuola, quando studiava all'università, con le pance delle gravidanze. La piscina dove ha conosciuto Compagnadicorso (oggi nel suo club di lettura).
E ha avuto la stessa sensazione vissuta nel sogno della casa dei nonni. Tutto era come lo aveva lasciato: le crepe nei muri, le sbreccature sui bordi, il marmo sotto i piedi, la luce. Ha ritrovato la sua panca e la sua doccia, accanto a quella della collega alta volata giù dal trullo, che invece il club di lettura nel frattempo lo ha abbandonato, la mensola per lo shampoo sbilenca come allora, la presa del fon malfunzionante e la sua sedia dove anche oggi si è seduta per asciugarsi i capelli.

Mentre nuotava, le sono venuti in testa pensieri tristissimi e neri e ha fatto fatica a non farsi trascinare giù nell'acqua, perché la consapevolezza del tempo che passa e non torna indietro mai, la uccide.

Alla fine però è uscita all'aria aperta e c'era uno spicchio di sole tra gli alberi.





giovedì 23 maggio 2019

Un epiteto per M

A vederlo non sembra lo stesso ragazzo di un anno fa.
Più alto, tratti del viso meno morbidi, un'ombra scura sul labbro superiore, una postura molleggiata e quel movimento della testa regolare e frequente per mandare di traverso il venerato Ciuffo.
All'uscita di scuola si confonde con decine di altri identici a lui per come portano i capelli, per come si vestono, per il cappuccio calato, per il telefono in mano e la testa inclinata sopra, per le caviglie nude, le scarpe giganti, per gli zaini in spalla, pesantissimi e gonfi l'anno scorso e inspiegabilmente semivuoti quest'anno.
Escono urlando, si abbracciano, si salutano, si dividono in gruppi, si avviano a mangiare qualcosa insieme. 

Le ragazze sono alte, con i capelli lunghi portano tutte pantaloni altissimi in vita e  strettissimi sulle gambe, a prescindere dalle forme di cui la natura le ha fornite. Tutte belle, sorridenti, qualcuna con l'apparecchio ai denti; le più fortunate con i capelli e la pelle lisci. Si vedono già quelle che vivranno amori non corrisposti e spesso immaginari e quelle che i cuori li spezzeranno in due.

Tra tutti si percepiscono quelli che vanno bene a scuola e quelli che meno; quelli che non hanno bisogno di parolacce per farsi notare e quelli che invece si aggrappano alle parolacce come fossero un mezzo per restare a galla essere visti e accolti.

Alcuni di loro, la minoranza, hanno le mamme che li aspettano fuori per riportarli a casa, trafelate tra un impegno e l'altro, oppure serene senza altro da fare che aspettare il proprio tesoro.

Tra loro c'è anche "quel cazzo di accollo" di M.