giovedì 13 luglio 2023

Lo Stretto, lo slavo e la felicità

M nuota da tutta la vita, forse nella sua vita ha più km nell’acqua alle spalle che sull’asfalto, forse no ma è così che le sembra.

Nuota tutte le mattine in piscina con la sua squadra di nuoto che nel tempo si è arricchita di elementi preziosi, capitanata dal suo allenatore di sempre, conosciuto, perso, ritrovato e mai più abbandonato. Qualcuno lo chiama il sergente, qualcun altro boss, una di noi può chiamarlo papà, per M è Marco.

Negli anni, senza tante parole, Marco ha insegnato a M a migliorare stile e prestazioni, ad approcciare il nuoto pinnato, a indossare con naturalezza, tubi, tappi, pinne, machere e da qualche mese anche la muta.

La squadra di nuoto di M capitanata da Marco è solita partecipare a gare e campionati di tutte le ampiezze geografiche: regionali nazionali europee e mondiali. M, che ha un grosso problema di stima nelle proprie abilità, non ha mai partecipato a queste manifestazioni. Ha declinato per anni inviti a trasferte invernali ed estive, in vasca e in acque libere e si è limitata a seguire stoicamente gli allenamenti quotidiani.

M da anni aveva nel fondo dei suoi pensieri, un’idea, una speranza, una possibilità: attraversare lo Stretto di Messina a nuoto sotto la supervisione di Marco.

Non era un obiettivo, era più che altro un miraggio. Qualcosa che sta lì nei pensieri, stabile, ferma, costante.

Intorno ai primi giorni di marzo, esattamente il 3 marzo, M è venuta a sapere che la sua società di nuoto avrebbe partecipato all’Impresa e si è iscritta alla Traversata dello Stretto, seguendo una voce interiore che non ha lasciato spazio a ragionamenti.

Si è iscritta senza aver mai nuotato seriamente in acque libere, senza mai aver nuotato seriamente in acque libere salate, senza pensarci, senza valutare le proprie possibilità, seguendo l’idea che era nel fondo dei suoi pensieri da anni e il muto incoraggiamento di Marco.

Dal 3 marzo l’idea dello Stretto ha cominciato a prendere una forma precisa con una data, il 25 giugno, un orario, le 10 e 30, un regolamento scritto.

Nei mesi di avvicinamento all’Impresa, M ha nuotato, ha comprato una muta e una maschera con lenti specchiate e ha trovato un accompagnatore, che potesse spronarla a dare il meglio di sé “mamma, io vengo però non voglio essere il figlio di quella che arriva ultima eh”. Sì, perché la Traversata organizzata per il 25 giugno era una gara con premi, podio e tempi ben precisi.

M e il suo accompagnatore la mattina del 24 giugno in motorino si sono avviati con sacca delle pinne e zaini tecnici alla stazione per ritrovarsi con gli altri della squadra e Marco e partire alla volta dell’Impresa.

Una volta arrivati alla fine del “continente” M ha guardato dall’altra parte del mare e ha finalmente visto “il pilone” di Torre Faro che da mesi sentiva nominare, punto di partenza dell’Impresa.

La Traversata infatti prevede la partenza da Torre Faro in Sicilia e l’arrivo a Cannitello in Calabria. Prevede anche che ogni partecipante, partecipi in tandem con una barca di appoggio e il suo barcaiolo, associato al nuotatore tramite sorteggio.

I partecipanti, vengono traghettati su anonime barche dalla Calabria la mattina dell’Impresa fino alla costa della Sicilia, e lì i nuotatori hanno la possibilità di incontrare i propri “barcaioli”. Ogni nuotatore ha un numero e deve riconoscere la barca con lo stesso numero.

M aveva il numero 8, numero preferito di NonnaG da sempre. Appena arrivata sulla costa di Torre Faro, M ha immediatamente visto passare la barchetta numero 8, ha chiamato senza ritrosie e timidezze “ottoooooooo” e insieme al suo accompagnatore, ci si è trasferita sopra col suo carico di pinne tubi tappi e perplessità.

Il barcaiolo di M si chiama Enzo ed è calabrese, ha un cappello scuro con visiera che copre gran parte del viso, è magro e minuto, silenzioso e serio. Dicono che dal barcaiolo dipenda la sorte della Traversata, più che dal nuotatore e M oggi sa che è proprio così.

Enzo, pochi minuti prima che M entrasse in acqua, le ha detto con voce ferma “segui me. Non ti preoccupare di niente altro, segui me”.

Marco aveva dato a M istruzioni ben precise sulla rotta da seguire, i punti di riferimento da tenere come bersaglio, il campanile della chiesa, la macchia verde dei cinque pini davanti al municipio, la fine del paese, ma dall’altra parte del mare i bersagli sembravano essere stati solo immaginati.

M ha seguito il suo barcaiolo, gli si è affidata con una fiducia cieca e inspiegabile. Con abnegazione. Nei 54 minuti che ha impiegato a attraversare quel tratto di mare blu profondissimo, carico di pesci delfini meduse onde e correnti inverse, ha seguito tutti i suggerimenti che i gesti di Enzo le davano.

E si è limitata a nuotare, ha svuotato la testa da paure, ansie, pensieri, stanchezze, limiti e ha nuotato fino al traguardo, arrivando seconda tra le nuotatrici femmine e rendendo fiero il suo incredulo accompagnatore.

La gioia di M, incontenibile, visibilmente straripante da occhi naso e cuore, è stata offuscata solo dal dispiacere di non aver potuto essere condivisa con Enzo, allontanatosi dal campo gara subito dopo l’arrivo di M.

M avrebbe voluto ringraziarlo, perché senza la sua guida non sarebbe mai arrivata dall’altra parte con la concentrazione necessaria, sgombra di pensieri, responsabilità, scelte.

Ma siccome la vita è un gioco pieno di sorprese, qualche giorno fa, M ha trovato una richiesta di amicizia su Instagram. Lì per lì non l’ha degnata di alcuna attenzione ma ieri ha ripensato a quella richiesta di “Enzo M” e ha aperto la foto del profilo. Senza cappello, senza visiera, sorridente davanti a un piatto di pasta, non era facile riconoscerlo: M l’aveva visto solo per pochi minuti e per identificarlo ha mandato la foto all’accompagnatore che invece ci aveva trascorso 54 minuti in barca.

Secondo te è il nostro barcaiolo dello Stretto?

Ma no mamma! Quello era uno slavo!

….

A dispetto delle convinzioni dell’accompagnatore, era proprio il nostro Enzo che aveva cercato M, aveva chiesto il cognome ai giudici della gara e l’aveva contattata per sapere in che posizione si fosse classificata. M ha così potuto gioire a pieno del risultato raggiunto in coppia con lui e ha potuto condividerne foto e video.

Adesso è veramente felice.

Non esiste gioia senza condivisione.

Ps. M oltre al suo barcaiolo del cuore, vuole ringraziare tutti quelli che l'hanno accompagnata in questa Impresa seguendo in diretta le testimonianze dell'accompagnatore bracciata dopo bracciata con curiosità, amore e un pizzico di ansia, qb.

 

 

 

mercoledì 18 marzo 2020

La scuola digitale

In questi giorni di clausura forzata a casa, la scuola è diventata digitale.
La trasformazione da scuola normale a scuola digitale è stata, nella nostra esperienza, lunga e laboriosa.
Ma alla fine il bruco è diventato farfalla e da ieri i nani sono collegati con i compagni di classe e le insegnanti per qualche ora al giorno.

Tutto molto bello, se non che.

Se per le aziende mettere in smart working  i dipendenti  è stato uno sforzo enorme di risorse umane e tecnologiche, per le famiglie passare alla scuola digitale è stato molto peggio (e non tutte ci sono riuscite).
La scuola digitale infatti non è per tutti
1) richiede competenze informatiche avanzate che non tutte le mamme hanno (i papà si vaporizzano anche in smart working tra le 8 di mattina e le 19);
2) richiede disponibilità di device e indispensabili accessori (sono esclusi i telefoni perché sarebbe troppo facile) in numero per lo meno uguale al numero dei familiari;
3) richiede un numero di ambienti separati e chiusi per lo meno uguale al numero dei familiari.

Sì, perché la scuola digitale, come quella normale, si frequenta di mattina. CONTEMPORANEAMENTE. E per partecipare necessita di pc con telecamera, cuffia CON MICROFONO, connessione a internet veloce.

In questi giorni M ha connesso tutto il connettibile, ha aggiustato microfoni, attivato telecamere, districato matasse di fili e lavorato come in ufficio.

Ed è diventata riccia e pazza.

sabato 14 marzo 2020

La finestra sul coritle

Da martedì, la stanza del nano è diventata l'ufficio di M.
La scrivania del nano è davanti alla finestra. La finestra affaccia sul giardino interno e a una trentina di metri di distanza c'è un altro palazzo dello stesso condominio.
Ma non aveva, in dieci anni che abita qui, mai trascorso tante ore seduta a questa scrivani davanti a questa finestra con il palazzo dello stesso condominio a una trentina di metri di distanza.
E solo in questi giorni ha scoperto che:
al quarto piano (cioè un piano sotto il suo) davanti alla finestra c'è ancora l'albero di natale addobbato con palle lucine e nastri
al quinto piano quindi proprio davanti a lei abita un tizio che passa la maggior parte della giornata seduto sul davanzale della finestra a un'unica anta (chiusa), con una gamba piegata sopra il davanzale, vestito di tutto punto fino alla vita e poi in mutande.
Ieri aveva un golf rosso e una camicia, e sotto mutande e calzini alti blu. Oggi era più elegante in camicia bianca, gilet grigio con scollo a V e sempre mutande e calzini alti blu.
Le mutande sono modello slip.

M si è immaginata che, in smart working a casa anche lui, debba collegarsi in video conferenza con altri colleghi o clienti per lavoro e che vesta solo la parte che di lui mostra.
Le video conferenze non le fa seduto sul davanzale quindi potrebbe non essere così, ma seduto sul davanzale parla al telefono con gli auricolari, mangia, spesso direttamente dal piatto di portata, legge.

Interrogato sul personaggio il mezzonano, la cui finestra affaccia sullo stesso palazzo, ha risposto con noncuranza e senza un minimo di curiosità "ah si quello che prende il sole, lui sta sempre sul davanzale, anche senza corona virus."

giovedì 12 marzo 2020

Beati voi

M non vede NonnaG e l'Arch da sabato.
Sabato li ha visti per puro caso mentre stava andando in piscina a piedi (sospirone) e loro nella loro nonni-mobile vintage le hanno dato un passaggio perché pioveva.
E' capitato altre volte di non vederli, anche per periodi più lunghi, ma il fatto di NON POTERLI vedere la destabilizza un po'.

Cerca di parlarci al telefono tutti i giorni, si accerta del loro stato di salute (buono), dei loro movimenti (pochi) e dei loro bisogni (al momento nessuno).

Ieri ha telefonato all'Arch, essere umano più unico che raro, e una volta in più ha scoperto che la visione del mondo con i suoi occhi buoni è bellissima.

"Pronto?"
"Ciao papà come state?"
"Bene, voi?"
"Bene grazie.."
"I ragazzi che fanno?"
"..eh.. la mattina i compiti poi il pomeriggio giocano alla play, vedono un film o una serie tv.. un po' si annoiano.. oggi il nano è sceso in giardino con l'amico spagnolo ma è tornato subito su.."
"..."
"Ci sei papà?"
"..sì sì stavo pensando.. che beati che siete..
"Beati? in che senso?"
"Che beati che siete a vivere una cosa così.."
"L'isolamento?"
"Sì.. noi non ce lo abbiamo avuto.. alla vostra età con voi piccoli in casa non ce l'abbiamo avuta questa fortuna di stare chiusi a casa tutto il giorno insieme.. quanto mi sarebbe piaciuto.. stare in casa tutto il giorno, godermi la vostra compagnia sempre.. che bello. Godetevela, beati voi."

Soluzioni alternative

"Sai io credo che capiremo tante cose in questi giorni.."
"Tipo?"
"Beh è la prima volta che siamo costretti a stare sempre chiusi a casa noi quattro"
"..."
.".è solo il secondo giorno ed è presto per dirlo, ma io mi sto già abituando a questa situazione e non mi dispiace pensa.."
"..."
"cioè voi siete le persone più importanti.. questa è la nostra casa.. noi quattro.."
"..."
"insomma ci vogliamo bene, stiamo bene insieme, non è poi così male.."
"..."
"non dici niente?"
"Beh io posso pure volerti bene, oggi domani per carità.. ma no non mi abituo, piuttosto che abituarmi a una situazione così, mi butto di sotto."

Questa conversazione si è svolta alla fine del secondo giorno di lavoro agile di H.

M ha letto bellissimi articoli in questi giorni sull'occasione che abbiamo di capire tante cose delle nostre vite: per esempio quali sono davvero le cose che contano, le persone a cui teniamo, con chi vogliamo dividere stanze e ore. Un'occasione per conoscerci di più, riscoprirci e riscoprire la voglia e il piacere di fare le cose insieme. O magari, per qualcuno, sarà l'occasione di ricominciare a farle da solo.

Alla fine, quando tutto questo sarà finto e torneremo tutti un po' storditi alla vita normale, saremo diversi da prima. M crede, migliori. 

Per il momento i ragazzi stanno reagendo meglio di quanto M si aspettasse. H la preoccupa un po'.

martedì 10 marzo 2020

Lavoro agile, vita meno

Ci si sveglia senza sveglia come il sabato e la domenica. Si fa colazione tutti insieme al tavolo da pranzo. Poi ci si prepara per andare in ufficio e a scuola, ma in ufficio e a scuola non ci si va per davvero.
L'ufficio di M da ieri è la camera da letto del nano, che ormai ha superato lei e il metro e settanta e tanto nano non è più. Davanti a lei la finestra e dietro di lei la porta, aperta.
L'ufficio di H è la camera da letto di M e H, in penombra, silenzio assoluto e porta chiusa. Lui, seduto davanti al pc, in cuffia con i colleghi oltreoceano, nutre dentro sè sogni proibiti di ristrutturazioni e restauri casalinghi e prima di chiudersi in casa si è approvvigionato dei beni di prima necessità per la sua sopravvivenza: vernici e solventi.

I ragazzi studiano un po' in soggiorno e un po' al tavolo da pranzo. Solo il mezzonano si chiude in camera e si mette alla scrivania serissimo a fare i compiti. Ogni tanto passa da M e le da un bacio, perché tutto si può arginare, ma il suo affetto sconfina ogni limite. 
Dopo qualche ora ci si incontra per pranzare insieme e poi di nuovo M e H tornano al loro posto e i nani accendono la Play (santa Play).

Oggi è il primo giorno di "lavoro agile" per M e H e il quarto di scuola a distanza (più distanza che scuola) per i ragazzi. 
Il minuscolo puntino rosso che 20 giorni fa era segnato in un punto sconosciuto della Lombardia, adesso è grande quanto mezza Italia e ci comprende tutti al suo interno: NonnaG che oscilla tra l'ossequioso rispetto delle nuove restrizioni e la sua naturale indomita predisposizione alla disobbedienza; l'Arch più mansueto e positivo per indole che non rinuncia al suo lavoro, seppur in versione casalinga, in compagnia dei suoi strettissimi collaboratori. Lo Zio Matto che fa la spola tra la vita esterna e la casa dei Nonni, tenendo M col fiato sospeso. La muta che chiede il permesso anche di salire sul terrazzo condominiale a stendere che non si sai.
E M, che ha dovuto rinunciare alla sua amata piscina e da sabato pomeriggio non nuota più e che, da sempre inquadrata in un mondo di rassicuranti abitudini, in poche ore è riuscita a costruirne un altro più piccolo, a cui già le sembra di essersi abituata.

martedì 28 maggio 2019

La memoria dei pesci

Capita delle volte di notte di sognare un posto della nostra vita in cui non si va da anni. Un posto dove si è passato tanto tempo. Capita di trovarlo intatto, come la memoria lo ricorda, e capita di percorrerlo con fortissima emozione, una sensazione di familiarità e novità insieme. 
Magari si scorgono delle porte nel sogno, porte a cui non si era mai più pensato, ma che sì certo che c'era quella porta.. e magari dietro quelle porte si trovano stanze non dimenticate, ma sopite, che riaffiorano potenti, come se da quelle stanze non ci fossimo mai allontanati.
A M è successo di sognare tante volte la casa dei nonni, l'ingresso con le marmette a terra, il corridoio largo, il bagno grande e quello piccolo, la "stanza dello sbarazzo" e in fondo il ripostiglio, dove si trovavano sempre le confezioni di cracker di nonno, che non erano quelle di oggi; i cracker erano quadrati, come se nascessero già spezzati a metà, tutti in fila indiana come pezzi del domino. 
Il soggiorno curvo,il terrazzino, l'enorme porta a soffietto che si chiudeva male, morbida, che separava il soggiorno dalla sala da pranzo con la tv.
Una casa grandissima che fu abitata da due adulti e sei bambini di età molto vicine tra loro e che M ha conosciuto abitata dai nonni, la zia Giò, il Pediatra e il Cugino Serio e che ha frequentato fino al 2000, quando è stata venduta perché non era più "la casa dei nonni".

Stamattina M dopo sei anni è tornata nella sua vecchia piscina, perché quella nuova in questa settimana non è agibile. La piscina in cui ha imparato a nuotare (1978) con l'istruttore che la allena tuttora.
La piscina dove ha nuotato tutta la vita: quando andava a scuola, quando studiava all'università, con le pance delle gravidanze. La piscina dove ha conosciuto Compagnadicorso (oggi nel suo club di lettura).
E ha avuto la stessa sensazione vissuta nel sogno della casa dei nonni. Tutto era come lo aveva lasciato: le crepe nei muri, le sbreccature sui bordi, il marmo sotto i piedi, la luce. Ha ritrovato la sua panca e la sua doccia, accanto a quella della collega alta volata giù dal trullo, che invece il club di lettura nel frattempo lo ha abbandonato, la mensola per lo shampoo sbilenca come allora, la presa del fon malfunzionante e la sua sedia dove anche oggi si è seduta per asciugarsi i capelli.

Mentre nuotava, le sono venuti in testa pensieri tristissimi e neri e ha fatto fatica a non farsi trascinare giù nell'acqua, perché la consapevolezza del tempo che passa e non torna indietro mai, la uccide.

Alla fine però è uscita all'aria aperta e c'era uno spicchio di sole tra gli alberi.