mercoledì 23 maggio 2018

Di algoritmi, eteroschedasticità e reti neurali

M non si sentiva così frustrata e fuori luogo dal 1991, quando fresca della maturità classica, all'università approdò al corso obbligatorio di statistica. Allora però la sensazione di inadeguatezza era comune a quella degli studenti seduti (o in piedi) con lei nella stessa aula (tutti iscritti alla stessa facoltà non scientifica) e soprattutto con loro condivideva l'età anagrafica, anzi era addirittura avvantaggiata dall'avere iniziato la vita di studente "un anno avanti", a 5 anni e quindi in cuor suo più giustificata nelle sue difficoltà di apprendimento.

Oggi a distanza di 27 anni da quel 1991 e a 40 dall'inizio de suo corso scolastico, su indicazione del suo direttore che evidentemente ne sovrastima le conoscenze e/o le capacità intuitive, M ha accettato con qualche palesata perplessità di partecipare a un corso che già dal titolo l'aveva preoccupata non poco.
Con ansia crescente ha affrontato il countdown di avvicinamento al corso, con picchi di negatività assoluta (numerosi), alternati a sporadici momenti di auto-rassicurazione.

La verità vera è che la realtà ha superato di gran lunga le sue peggiori aspettative: M si è ritrovata per 4 interminabili giorni in una aula con altri 20 esseri poco umani e molto scienziati che usano formule e simboli che non esistono nemmeno sulla tastiera, di una ventina di anni più giovani di lei e di una ventina di milioni di milioni di livelli di conoscenza superiori a lei.

Se avesse frequentato un corso di cinese avanzato, il senso di inadeguatezza sarebbe stato minore.
E non è stato solo perché lei non è abituata a sentirsi così asina, essendo sempre stata brava a scuola prima e all'università dopo; ma soprattutto perché questa bolla in cui ha vissuto in questi 4 giorni è anni luce lontana dalla parte di mondo che lei conosce e che forse è in via di estinzione.
In poche parole ha avuto per la prima volta nella sua vita la sensazione di essere vecchia e datata, di più: superata.

In ogni caso di questo corso è riuscita a comprendere due cose: il senso ultimo cioè a cosa servirebbero tutti quei robi inquietanti che chiamano modelli, ad essere capaci a costruirli prima e applicarli poi, e che come sospettato, non era in alcun modo un corso adatto a lei.
Tutto il resto le è rimasto oscuro.

In compenso i panini e le insalate erano molto buoni, la sede bella, il viaggio in treno sempre gradito e il tempo passato con il cugino che non vede mai e le sue ragazze, piuttosto piacevole.
In più ha trovato il tempo per andare nel suo negozio preferito che non vende nella capitale nè online e ha dormito nella sua stanza preferita, sui tetti.

giovedì 22 febbraio 2018

Apriamo il gas

Tanti anni fa, nella vita numero 1 di M, quando ancora viveva a casa con mamma e papà, ancora non doveva pensare a niente se non allo studio e all'amore, quando niente dipendeva da lei se non lei stessa e quando gli unici ruoli che avesse in famiglia erano quelli di figlia e sorella, una sera dopo cena si trovò in soggiorno con i genitori e il fratello di un anno e mezzo più piccolo.
In soggiorno a casa dei genitori di M non c'è mai stata la tele e questo facilitava le conversazioni e favoriva la conoscenza delle reciproche vite quotidiane, anche perché l'unica televisione presente in casa era un quattordici pollici mal funzionante e poco attivo.

Quella sera, come molte altre prima e molte altre dopo, nel soggiorno di casa si chiacchierava, si rideva, si scherzava, ci si confrontava e confortava, si cresceva, si ampliavano le conoscenze l'uno degli altri affrontando minuscoli temi e grandi verità.
Niente di strano per loro, magari in altre famiglie non capitava spesso, ma da loro il racconto, lo scambio, l'amicizia, l'aiuto e l'interesse reciproco erano pratica quotidiana.

Certo, allora tutto era facilitato dall'assenza di quelle piccole e medio piccole protesi che portiamo in mano adesso: non c'era possibilità di comunicazione con gli esterni se non il telefono di casa, a cui molti genitori di amiche di M avevano addirittura messo il lucchetto come fosse un vizio proibito, da evitare o quanto meno da utilizzare con estrema parsimonia. 

Insomma, per una serie di fattori endogeni ed esogeni, a casa di M la sera dopo cena quattro presone appartenenti a due sessi diversi e a due generazioni diverse dibattevano tra loro con piacevole riscontro.

Quella sera, si diceva, l'Arch, che allora poteva avere l'età che ha oggi M, a un cero punto ebbe una delle sue illuminazioni, che pochi comprendono, e disse: "Apriamo il gas".
Ai più potrebbe sembrare una frase poco adatta a una serena serata in famiglia, ma "apriamo il gas" voleva dire, fermiamo il tempo, restiamo così per sempre: voi due adolescenti e spensierati e noi due quarantenni sereni e realizzati.Tutti in salute, tutti belli, giovani, nel pieno delle forze. Innamorati gli uni degli altri, in pace. Prima che tutto cambi, che la casa si svuoti, che i problemi della vita quotidiana entrino a turbare le vostre vite di ragazzi. Prima della fatica, della tristezza, dei dispiaceri, delle malattie, delle separazioni, prima di tutto.
"Apriamo il gas" era il suo "sono felice,abbiamo tutto quello che di più bello potevamo sperare".

Non abbiamo aperto il gas quella sera, ed è stato un bene: sono passati anni, la casa si è svuotata, abbiamo affrontato problemi più o meno piccoli e due brutte malattie. La ricerca del lavoro, i traslochi, un matrimonio e due gravidanze, qualche lutto dovuto al corso naturale della vita e qualcuno meno aspettato. Il Bilancio è sicuramente positivo, noi siamo sempre quattro e ci ritroviamo ancora anche se raramente nello stesso soggiorno.

Ma quell'apriamo il gas dell'Arch, inno alla felicità, è rimasto indelebile nel ricordo di M e a volte in soggiorno con i nani la sera, quando ancora le prestano un po' di attenzione, anche se la tele è accesa, quando li ritrova dopo una giornata faticosa passata lontani, un po' ci pensa, e sorride.

lunedì 12 febbraio 2018

Il mio Sanremo

Stavolta, dopo un po' di anni, M non è partita per Sanremo in occasione del festival. E' rimasta a casa e lo ha visto dal suo divano senza quella fastidiosa sensazione di avere perennemente la sabbia negli occhi, dovuta alla mancanza assoluta di sonno.

E' stato strano essere a casa, sentire i colleghi per telefono invece di averli di fronte 22 ore al giorno e avere la libertà di spegnere prima della fine, di cambiare canale e di andare in cucina per una "luviria".

Solitamente M a Sanremo non riusciva a "vedere" il festival, lo seguiva ascoltandolo e leggendo quello che del festival si diceva sull'internet.

Invece quest'anno lo ha visto con attenzione e sorprendente piacere e attaccamento emotivo e queste sono le 10 cose che le sono piaciute di più e che già le mancano un po':

1) Favino in tutte le salse (ballicchio canticchio suonicchio cucinicchio etc)
2) La calma serafica, la gentilezza inusuale e l’umiltà nel farsi da parte di Baglioni
3) Le tette della Hunziker (come direbbe lei ME RA VI GLIO SZE))
4) La scritta “Sul palco” nei titoli di testa
5) Gli abiti Armani Privè della Hunziker e soprattutto come stavano a lei
6) Frassica
7) Le canzoni di Baglioni, e cantarle tutte a memoria
8) L'omaggi al Re della Tv Pippo Baudo (che M considera lui e la Raffa la Tv)
9) Il duetto con Gianna Nannini (anche se Amore bello non le piace un granché e avrebbe preferito che ne cantassero un'altra)
10) I The Jackal (con Favino)