martedì 4 marzo 2014

Dove lo porta il vento

La sagoma, il modo di camminare mentre si avvicina, e di iclinare la testa da un lato sono gli stessi.
I capelli si sono imbiancati e intorno agli occhi mille sottilissimi fili come i raggi del sole che disegnano i bambini.
L'iride non è più limpida e l'azzurro sembra un po' sfuocato.
La voce, il modo di parlare, le mani che si muovono tutto identico.
Così familiare e amichevole
così conosciuto e facile da comprendere
potrebbe stare zitto tutto il tempo e M capirebbe lo stesso quello che le vorrebbe dire.

Ieri M è andata a pranzo fuori con il suo Fidanzato Storico.
In realtà hanno mangiato un gelato, un cono lei e una coppetta lui, perchè lui non è mai stato capace di mangiare il gelato da passeggio, e lei questo no, non se lo ricordava.

E per tutto il tempo si è domandata perchè si riesce a stare così male per qualcuno, e poi a essere felici di averlo superato e archiviato.
Come si fa a passare dall'Amore del Primo Amore a questo senso di familiarità, di affetto distaccato, di legame pacato e sereno, fraterno.

Si è chiesta, mentre lui le raccontava della sua vita che non è come se l'era immaginata, se valga la pena amare e smettere di amare, superare e trasformare l'amore in qualcos'altro di meno pasionario e più maturo.

Una cosa è certa: quello che è destinato a noi, nessuno ce lo può portare via.
E quello che non era destinato a noi, che vada pure dove lo porta il vento.

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