giovedì 23 maggio 2019

Un epiteto per M

A vederlo non sembra lo stesso ragazzo di un anno fa.
Più alto, tratti del viso meno morbidi, un'ombra scura sul labbro superiore, una postura molleggiata e quel movimento della testa regolare e frequente per mandare di traverso il venerato Ciuffo.
All'uscita di scuola si confonde con decine di altri identici a lui per come portano i capelli, per come si vestono, per il cappuccio calato, per il telefono in mano e la testa inclinata sopra, per le caviglie nude, le scarpe giganti, per gli zaini in spalla, pesantissimi e gonfi l'anno scorso e inspiegabilmente semivuoti quest'anno.
Escono urlando, si abbracciano, si salutano, si dividono in gruppi, si avviano a mangiare qualcosa insieme. 

Le ragazze sono alte, con i capelli lunghi portano tutte pantaloni altissimi in vita e  strettissimi sulle gambe, a prescindere dalle forme di cui la natura le ha fornite. Tutte belle, sorridenti, qualcuna con l'apparecchio ai denti; le più fortunate con i capelli e la pelle lisci. Si vedono già quelle che vivranno amori non corrisposti e spesso immaginari e quelle che i cuori li spezzeranno in due.

Tra tutti si percepiscono quelli che vanno bene a scuola e quelli che meno; quelli che non hanno bisogno di parolacce per farsi notare e quelli che invece si aggrappano alle parolacce come fossero un mezzo per restare a galla essere visti e accolti.

Alcuni di loro, la minoranza, hanno le mamme che li aspettano fuori per riportarli a casa, trafelate tra un impegno e l'altro, oppure serene senza altro da fare che aspettare il proprio tesoro.

Tra loro c'è anche "quel cazzo di accollo" di M.




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